A Mosca, poveri e scellerati cristiani che vivevano in periferia, si facevano strane idee per colpa di una voce che girava senza controllo e che faceva pressappoco così: “Boris Rakianovic è tornato.”
Lo diceva l’oste vestito a lustro, con le mani unte, che puzzava abbastanza da essere per alcuni inavvicinabile. Lo insinuava anche il mendicante che sentiva la spada del freddo entrargli nel corpo solo quando fissava con lo sguardo le scarpe di tela della figlia.
Le fredde giornate d’inverno avevano lasciato il posto libero ad alcune più gradevoli, con la minaccia e la promessa che, anche loro, come Boris Rakianovic, un giorno avrebbero fatto ritorno.
Qualche bambino rimpiangeva la neve ed i giochi che si fanno in sua presenza.
Gli uomini che da qualche tempo avevano superato i trent’anni rimpiangevano Boris Rakianovic, e le creature che piangevano la neve, fortuna loro, non sapevano ancora quale infame vita li aspettasse. Ancora se la ridevano pieni d’innocenza.
Gli uomini che avevano l’età per ricordare Boris Rakianovic sapevano molto sia delle stagioni che della vita. Il lavoro, soprattutto per quelli che avevano il carattere del sognatore, procedeva innanzi come una tortura con modalità da liturgia quotidiana. Tale tortura era per loro necessaria ed indispensabile, altrimenti come avrebbero fatto a riempire lo stomaco ed a scaldarsi le ossa.
Boris Rakianovic aveva sentito le loro sofferenze, il loro peso crollargli su scapole e meningi. Quell’altrui desiderio di liberazione, il poter permetter loro d’esser lontani da preghiere e torture, dal lavoro e dalle sue norme e dagli adempimenti, aveva fatto sudare e piangere Boris. Con quella idea pazza in grembo, come il buon San Francesco, aveva incominciato a spogliarsi dei suoi averi e a parlare con i disperati di ogni specie. Faceva del bene, dove possibile qualche miracolo.
Boris, prima di prendere la via del coraggio e dei miracoli, aveva vissuto nel lusso, accarezzato da fanciulle acerbe ma consapevoli del loro ruolo di concubine occasionali. A prendersi cura di lui erano donne tanto sapienti quanto prive di buon cuore.
La famiglia di Boris non s’era mai arresa, con armi insolite e poco efficaci, aveva tentato di combattere con il demone buono che alloggiava ed aleggiava nell’anima di questo figlio prediletto.
Boris aveva regalato i suoi averi ai mendicanti più malconci, le scarpe con la lana dentro alle loro figlie. Come se non bastasse s’impegnò per i sognatori che, solo per una manciata di giorni, avevano potuto far a meno della loro tortura.
Predicando laggiù lungo le strade di quei sobborghi dove la disperazione urla più forte, Boris finì per esser vittima di un brutto incidente. Una carrozza, magnificamente e maldestramente condotta da un furfante in fuga e da tre cavalli fedeli solo al loro padrone, travolse nel suo ondeggiare impazzito le gambe di Boris. Per un anno intero fu ospite di un grande caserma adibita a sanatorio dove ogni giorno nolenti o volenti s’assisteva al debutto, alla speranza, ed all’ultima uscita. Non la vita e nemmeno la morte, riuscivano a metter fine all’opera di Boris.
“Boris è tornato”. Se ne uscì uno di quei sognatori che era stato graziato con indosso gli abiti del dopo tortura. L’ oste gli faceva eco stropicciandosi copiosamente gli occhi come un bambino stanco.
Boris era di nuovo in mezzo a loro. Trascinava le pesanti gambe mozze verso il bancone dove bicchieri vuoti e lacrime d’uomo convivevano da più di quarant’anni. Un mendicante ed un paio di sognatori rimasero basiti e tristi davanti a questo loro eroe ferito. Trovarono nella loro bocca qualcosa da dire, scettici, ed al contempo in adorazione.” Boris quale disgrazia ti è mai capitata?”
Boris raccontò loro le sue disavventure senza versare una sola goccia di dolore.
Un sognatore corse fuori dalla bettola per chiamare altri disperati che come lui non aspettavano altro che l’avvento di un benefattore o di un assassino.
“Boris aiutaci seguendo l’istinto che ti ha portato a sostenere la vitalità del cammino paterno del mendicante e la generosità d’animo con cui hai sollevato al rango di certezze le aspettative quotidiane di certi nostri fratelli in disgrazia. Dio te ne sarà riconoscente.” Boris non sembrò voler dar seguito alla sgomitante esortazione dello sfacciato sognatore. Come rinvenuto da un momentaneo stordimento, si avvicinò all’uomo con i calli sulle dita. Questi, impaurito ed ossequioso, s’aspettava forse un ceffone, forse un miracolo. Dalle tasche dei pantaloni tutti sdruciti di Boris, zampillavano lingotti d’oro bianco. Tutti i presenti gridavano al miracolo, naturalmente dopo essersi azzuffati per prender l’oro. “Calma, ce ne è a sufficienza per tutti. Non vi calpestate altrimenti il ricordo della gioia di questa giornata si confonderà con la tristezza data da tanta volgare foga. Tutti voi avrete di che mangiare, il fuoco, le bevande che rasserenano l’animo. Chi ama lavorare, lavorerà. Quelli che hanno le mani con i calli che bruciano e quelli che sentono di esser sognatori, rimarranno a casa a far quel che più gli piace. La tortura, come usate chiamarla voi, è finita. Sognate in pace. ”Mentre un pasticcio di voce riempiva la bettola, Boris sorseggiò un poco di quella bevanda, soffermando a tratti lo sguardo, triste, irrevocabilmente vittima di un assoluto senso di disperazione, sul dettaglio delle sue gambe mozze. Piegato e riverso sul lato doloroso dell’esistenza, sul suo corpo d’invalido, fece cenno all’oste d’aiutarlo a raggiunger l’uscita. “Prego Boris, grazie infinite per quello che hai fatto per la mia gente.”
La carrozzella, con sopra il buon Boris, prese il largo tra la minuta nuvola di miracolati avventori.
Di lì a poco venne a cercar di raschiare il barile dei miracoli una copiosa e disperata moltitudine di pericolosi animali di città. I miracolati si inginocchiarono quando Boris guadagnò l’uscita, consci di esser diventanti, con l’oro nella tasca, meno selvatici e smarriti. Il mendicante che aveva acciuffato un solo lingotto non pensava alla fortuna appena ricevuta in grembo, ma alla sventura che aveva delimitato la possibilità di avere una somma ancor più ingente. Boris, lontano da occhi indiscreti e da quell’adulante scacchiere di mani tese, si fermò ad accarezzare le sue leve morte. E pianse. Cercò di stimolare quel poco di vita che una volta scorreva sotto al bacino. Il sangue non scorreva più come ai tempi delle scorribande dentro il cortile della casa del padre.
Una donna che faceva la vita scorse Boris e ridacchiò “Che uomo buffo. Senza gambe, ben vestito e con la faccia sporca del delinquente fallito. ”Boris non aveva notato che la donna oramai gli era accanto. Prima di incontrare Boris, la strada aveva fatto di lei carne da macello ma se ne andava in giro serena nella sua corazza di cinismo. “Mio Dio allora questa è la tua mano dura. Che orribile punizione hai dato a quest’uomo. Dovrò presto cambiar vita per non finire anch’io sotto la tua mano dura. ”Il borbottio della prostituta s’infilò caparbiamente nelle orecchie di Boris. La filosofia spicciola della vicina di strada e di sventura, l’aveva sconfitto nell’animo. Spinse la carrozzella in avanti, verso un lato, poi indietro, con forza isterica. Non sapeva dove andare, e di fare miracoli per qualche peccatore dei piani bassi non ne aveva voglia, e cosa ancor più grave, non gli era più concesso quel perverso potere di redenzione.
Aveva perso in un batter di lingua l’investitura divina, l’orgoglio, ed il rispetto per se stesso. Quantificò con il pensiero il bene che aveva fatto ed accennò ad un sorriso amaro ripensando a come quei miracolati s’azzuffavano per l’oro bianco. Addormentandosi prese le sembianze di un animale con il collo spezzato. Nel sonno ritornò ad essere uno dei gioielli più costosi nelle braccia dei nonni che l’amavano. Decise allora di far ritorno alla sua dimora dove almeno non sarebbe stato deriso. La carrozzella durante il tragitto si ribellò più volte al padrone che era sempre più sudato e la spingeva con violenza.
Una volta sull’uscio di casa dei genitori, Boris rimirò i panni che aveva indosso e quelle mani sudice che poche ore prima avevano distribuito lingotti d’oro.
“Mio padre mi disconoscerà se oso presentarmi in casa sua vestito come sono e sozzo come sembro”
Boris e le sue gambe mozze iniziarono a vagabondare pigramente lungo i marciapiedi impietosamente ed incessantemente invasi da copiose frane di pioggia battente. Vagarono fino a tarda notte, fino alle pendici di una tettoia che piagnucolava ruggine. Con la loro forte e tracotante gaiezza, le voci sguaiate di una mandria di goliardici ubriaconi, coprivano gli ululati di dolore di Boris.
Boris non faceva più miracoli. Chiedeva l’elemosina. Qualcuno gli lanciava delle monete impietosito da quella faccia storta e da quelle gambe mozze.
Morì un giorno qualunque di un rigido inverno non qualunque. Di lì a poco la Grande Guerra avrebbe liquidato senza tanti convenevoli vite e speranze.
Dio s’era scordato di voler bene a Boris Rakianovic. Boris aveva fatto del bene, alleviando i pruriti di certe esistenze e distribuendo ricchezze e miracoli a diseredati e pezzenti. Dio non lo doveva aver notato mentre si denudava dei suoi beni per gareggiare in concorso di bontà d’animo con San Francesco. Dio non l’aveva di certo intravisto quando in compagnia di quelle gambe senza respiro vagava nel freddo piagnucolante ed affamato, con la carrozzella che faceva fatica a prendere il via su quella strada dove nemmeno all’orizzonte sorgevano i colori del coraggio e della speranza.
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