FRANCO BUFFONI, GLI STRUMENTI DELLA POESIA

Interlinea, Novara 2020

di Stelvio Di Spigno

Molte volte, e in tante altre occasioni, mi sono trovato a definire la figura intellettuale di Franco Buffoni come dell’ultimo vero umanista rimasto in Italia, del suo livello, del suo rigore, al di là della fine che l’Umanesimo ha fatto nel cono d’ombra della cultura dell’Occidente, diventata periferica almeno quanto la Shoah è stata centrale e tragica. Un identico destino accomuna, e non potrebbe che essere così, la civiltà poetica dei Rilke, degli Eliot, dei Kavafis, e il mondo come è venuto fuori dalla catastrofe antropologica della seconda Guerra Mondiale e dei suoi annessi massacri e genocidi. Per questo, penso, che ciò che più attira dei suoi libri è il loro aspetto razionale, anzi, ragionevole. E se esso produce un’idea del mondo, ancora meglio. E per questo mi occupo de Gli strumenti della poesia, ultima fatica in prosa di Franco Buffoni. Si tratta di un vero e proprio trattato di poetica e storia della letteratura degli ultimi settant’anni in Europa, insieme a delle cogenti riflessioni sul proprio fare poesia, sulle proprie scelte e sul proprio agire, da poeta, negli ultimi quarant’anni. Tanto che è impossibile sceverare i due aspetti: Buffoni poeta ricorda perché e come ha messo mano a dei propri materiali sempre partendo da una urgenza del presente, della Storia, della propria civiltà. La civiltà messa in atto dai Sapiens-Sapiens, anche quando la loro ontologica differenza con le belve feroci è venuta meno. Certo, perché il fulcro del libro è questo: se si parla di poetica, di poeti e di poesia, bisogna avere una fede sviscerata nella distinzione tra l’uomo Sapiens-Sapiens e tutto ciò che, per prima cosa, gli è occorso nei lunghi periodi dell’evoluzione; per seconda cosa, tra il suo essere arrivato alla punta dell’evoluzione dovendo in questo modo, per un’etica semplicemente probatoria, essere qualcosa di diverso dal bestione di vichiana memoria. È grazie a questa distinzione che questo libro-diario di acquisizioni intellettuali e poetologiche si fa interessante sempre di più, pagina dopo pagina e prorompe in un finale nichilisticamente ottimistico, se mi si passa l’ossimoro, perché accende la fede nell’uomo che può salvare se stesso così come ha trovato un modo per salvare i files dei libri (una volta detti codici) dalla loro inevitabile durata in vita e perdita conseguente. In questo senso, illuministicamente, l’utile e il dilettevole, la gradevolezza e la lezione di umanità, vengono a coincidere senza sovrapporsi, in una lettura avvincente, piana, scorrevole, di molteplice interesse. E sarebbero tante le “curiositates” che il libro mette in moto, a volerne parlare nello specifico. Leggendolo, e faccio solo il mio scarno esempio, ho imparato che il gruppo ‘63 non teneva fuori bersaglio neanche Vittorio Sereni, e che la poesia italiana sposa l’assunto continiano secondo il quale la letteratura italica si può spiegare senza Dante, ma non senza Petrarca. Buffoni dissemina di dubbi il proprio aggirarsi nei meandri aperti della letteratura del secondo Dopoguerra, eppure si ha l’impressione di una vittoria sul caos e sulla nullità della sorte, per il semplice fatto che l’autore ci mostra, con coraggio, quali sono state le proprie scelte intraprese, mettendoci il proprio onore di didatta, il suo orgoglio di poeta, la sua reputazione intellettuale che molti libri di rilevo hanno contribuito a fabbricare. E anche nel suo assunto più impegnativo, quando si dice che la poesia è un insieme germinativo di suono, segno e significato, torna alla mente la lezione che in precedenza Buffoni ha già elargito al suo folto pubblico: quella per la quale gli angoli bui di un testo poetico, di una traduzione da altra lingua, di un brano saggistico o narrativo, vengono illuminati dalla fede in ciò che il Sapiens-Sapiens sa costruire attorno a sé per scongiurare il terrore atavico che avvoltola la nostra specie. Buffoni si impegna in questa operazione in prima persona, scioglie nodi, svela arcani, illumina il grigiore compilatorio e accademico nei quali la poesia rischia perennemente di infognarsi, con l’acume e la freschezza di una continua scoperta poetica e culturale che giustificano la mole di questo libro e l’interesse che suscita anche in chi non è avvezzo allo strampalato e talvolta autoreferenziale mondo della nostra produzione in versi. Bastino questi due valori aggiunti per comprendere il merito dell’intera operazione culturale effettuata dal nostro autore: quella della perfetta buona fede crociana, di appartenenza laica e autosufficiente, senza compromessi di sorta.

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