IL CINEMA E LE SUE DECLINAZIONI

di Luca Bottari

Cercando tra le scartoffie della memoria cinematografica può diventare spontaneo associare volti a epoche storiche e stili registici a paesi e culture. Il cinema è un’arte soggetta a interpretazione soggettiva dunque estranea a sfide e classifiche. Ma gli occhi che osservano più o meno consciamente questo misterioso agglomerato di immagini sono maliziosi ed arroganti.

Cosi critica e spettatori hanno costruito un grattacielo di giudizi che ingloba nei suoi scaffali un abecedario sulle differenze di stile recitativo nei paesi in cui il cinema aveva e ha un rilevante peso specifico sulla società. Il cinema ha sempre direzionato il proprio getto di luce con capacità da lente di ingrandimento verso le molteplici realtà della società fungendo da specchio catarifrangente, da moralizzatore o al contrario da devastante vento contrario avversario dell’ordine morale comune.

La benzina che alimenta il grande falò del cinema è l’attore con il suo bagaglio di tecniche narrative. Se volessimo tracciare i contorni delle linee dell’albero genealogico del cinema italiano troveremo in alto sul foglio i padri fondatori del neorealismo e della commedia italiana. Un arco temporale ventennale che parte dal 1950 con la denuncia di un mondo che non va, così abilmente descritto da De Sica e Rossellini, per arrivare alla magia della visione di Visconti in grado di fare affreschi di genere della società che lo circonda, arrivando poi agli anni ’70 con il surrealismo circense di Fellini, l’arcobaleno esistenziale di Antonioni e la poesia sporca di Pasolini.

La commedia italiana degli anni ’70 / ’80 rappresenta l’ultimo walzer dei grandi registi italiani con il fuoco sacro nella macchina da presa. Negli ultimi due ventenni il nostro paese è un animale sterile che non partorisce capolavori. Il cinema dei maestri del neorealismo aveva nei suoi interpreti l’incarnazione dell’uomo qualunque. Gli attori erano ripresi nel loro contesto naturale. Erano efficaci e verosimili perché dietro la macchina da presa c’era un altro uomo che li guardava per quello che erano. Per Pasolini l’attore era l’uomo della strada con le sue ammaccature esistenziali che senza saperlo era letteratura. Fellini trascinava i suoi attori nel suo universo fantastico.

I suoi interpreti non respiravano, erano travolti dal suo impeto creativo. Mastroianni è stato un monumento in quanto libero dall’influenza di scuole di recitazione o manomissioni mediocri. Era Marcello ed era diretto dalla magia di Fellini. Antonioni plasmò le sue donne attrici in una scultura vivente che aveva in sé i sentimenti delle nostre vite sospese. Anna Magnani è la recitazione e nemmeno Marlon Brando in Pelle di Serpente è stato in grado di tenerle testa. Il cinema italiano è stato come l’impero romano; luce e guida per il mondo. La luce si è spenta con l’avvento della tv commerciale e con lo sterminio di massa degli intellettuali italiani. Non più pensatori ma esecutori di una logica di profitto che mal si addice ai geni.

Le luci abbaglianti del cinema hanno mantenuto la stessa intensità negli Stati Uniti dalle origini fino ad oggi grazie ai grandi capitali investiti nel settore, alle infrastrutture dell’industria audiovisiva, ma sopra ogni cosa grazie a uno studio programmatico della recitazione. L’actor studio è lo scheletro che tiene in piedi il corpo del cinema americano da più di sessanta anni. The method. La tecnica attoriale. Questa la chiave del successo per Elia Kazan, Robert Lewis e Sherley Crawford. La maieutica della memoria, la memoria dei sensi i pilastri della scuola. Il direttore più illustre, Lee Strasberg, crea Al Pacino, James Dean, Marlon Brando seguendo le indicazioni di Stanislawskji e il suo teatro d’arte. Lee Strasberg crea nel corso della sua vita all’Actor Studio una via di uscita secondaria e opzionale dallo stile di Stanislawskji. L’attore non deve rinascere per ogni copione ma quando non è in grado di esprimere uno stato di animo deve ricorrere tramite un richiamo emotivo alla propria memoria affettiva.

La pedagogia teatrale di Stanislawskji rimane sullo sfondo ma l’Actor Studio ora e negli anni dei capolavori americani rimane uno spazio di sperimentazione efficace e penetrante. Il cinema rimane il sogno in America mentre in Italia forse è solo una strada per l’affermazione personale. Abbiamo il tempo necessario per recuperare il gap produttivo cinematografico con gli Stati Uniti ma nei prossimi anni dobbiamo tornare a sognare.

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