Prima di essere poesia è un incanto antico, incivile, che, divenuto civile, fa della sua civiltà il suo canto.
![Poesia Carlucci](https://www.civiltamagazin.it/wp-content/uploads/2021/03/Cattura-poesia-Lorenzo.jpg)
Carlucci porta la poesia nella dimensione umana oltremodo e, dunque, si esplora l’uomo tutto che si concentra in lui. Un volto che, tra tutti i volti esistenti, si fa principe e principio di ogni uomo; iscrive sulle sue gote, piene di carne benedetta, la bontà del dolore e il nome di tutti.
Carlucci è la testimonianza del dolore incantato e incontaminato, nella sua estensione massima, nella sua indipendenza ed è dolorante esso stesso. Dolore ‘dell’improbabile’ umano e del fatto che non esiste un riconoscimento di se stessi ma solo un lancio slanciato e periglioso; nella sua scrittura l’umanità è un grazioso e gentile ornamento del tempo e il volto, che solo a tratti appare, è straniero a chiunque. Non ci sono filtri tra il suo divenire uomo e il suo essere diventato uomo ed è in quel trascorrere del tempo tra le due dimensioni che la sua poesia nasce, in quel primo fiato che divide il secondo.
La sua scrittura, plastica e altera, si fa scultura nel suo momento più intimo e, non troverà una conclusione, un riposo, una forma conclusiva da donare né un respiro equilibrato tra la terra(dove è posta) e il cielo ma, un colloquio eterno e ideale di cose sporche e masticate, usate dal dolore.
Man mano che si nutre di questo colloquio infinito, la sua poesia è comunque già concepita in una struttura certa e grezza, in una forma solida e potente. La scrittura di Carlucci ha un’impronta enormemente speculativa, forse come nessuna poesia prima, è una poesia della filosofia, una scrittura dettagliata e priva di stilemi, è un canto dignitoso e acuto come una preghiera e come un ‘testamento’ dell’umanità all’umanità. Ci troviamo davanti a un tempio che contiene una scrittura vitale e, da cui cola, a chi attinge, la linfa di una realtà contingente alla realtà. E’ una scrittura maestosa e silenziosa, senza ornamenti, senza sperimentazioni, dunque antica e definitiva insieme. La surrealtà è inserita organicamente nella struttura compositiva e i retaggi culturali si fondono nella storia personale pacificamente, a creare una simultaneità. Una scrittura, dunque, ‘estinta’ e paradossalmente nuova rispetto alle ricerche poetiche di questo secolo; è composta in un ‘bel tempo’, in un tempo nobile e cagionevole; è una scrittura “assoluta”. Dunque, questo è un canto della civiltà e delle sue nudità, è ‘la poesia dell’uomo’.
La comunità assoluta, ‘come un cane che in lontananza abbaia ai suoi cani che sente abbaiare e che non può raggiungere perché è vuoto, orfano e porta il dolore di tutti, dolore che deve cingere a sé, come le vestali accudivano il fuoco’, è il titolo che rappresenta pienamente Carlucci. Una comunità, appunto quella umana, che attraverso il suo approdo, quello del poeta, e attraverso le sue ‘profezie’, diventa assoluta, ovvero priva di intenzioni. Nei volti della comunità è scavato il suo volto.
Questa poesia, ci porge la possibilità di un’umanità ulteriore, ‘cieca’, rarefatta, mossa da un divino che non ha niente a che fare con dio, da un divino che non ha nome, posizione e a cui nessuno crede; un dio libero e artificiale.
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