PIERPAOLO PASOLINI, ROMANS

In me, lui è sconfinatamente caro e persuasivo

di Francesca Sallusti

In “Romans”, come del resto in tutta la produzione letteraria di Pasolini, c’è una tensione romantica verso forme grezze, un’emancipazione dal dato intellettuale; e lo stesso Pasolini, si lascia trapassare e, indietreggia, seppur consapevolmente, di fronte a tale impresa umana, spalancata e onnipotente; quella della creatura umana nella sua totale dimensione di animale maldestramente addomesticato, che celebra la bellezza “espansa” e il suo mistero di fronte al quale nessuna sentenza intellettuale può competere: la creatura forte e bionda, giovane, adeguatamente sporca, che trattiene in sé la divinità.

Pasolini è un uomo che nelle sue produzioni e, attraverso le sue produzioni, chiede asilo e conforto a quella stessa umanità, chiede perdono, si purifica attraverso quelle lucide descrizioni e informazioni, elemosina la grazia e attraverso questa si immunizza. È una identificazione salvifica, con una destinazione precisa: essere ciò che scrive e inoltrarsi nel primo stadio della bellezza; pre-civile, inalterata. L’umanità che Pasolini descrive è Pasolini e, attraverso questa, egli si rigenera.

Aprono il romanzo un incastro di tipologie umane dentro a un treno, dettagliate e arginate, determinate, puntuali nel loro disegno e destino; un corredo bislacco ma lineare di anime; Renato, il giovane “moderno”; l’uomo maturo penetrato e infettato dalla provincia, di pensieri grossolani e tramandati; il prete, un giovane uomo delicato e delirato e, oscurato solo lievemente da dio e Cesare, il ragazzino disarmato e feroce.

La ‘brevità’ (come leggerezza) della giovinezza e la ‘perpetuità’ (come morbosità intellettuale) della spiritualità o meglio della conoscenza, ‘comunicano’ precocemente nel vagone del treno, stabiliscono gli intenti, più assidui e conturbanti nel giovane prete che nel ragazzetto, ostacolato dal suo ‘oro’ e dalla sua mediocrità. In queste due figure umane e nella loro autenticità, si espone il concetto della redenzione di Pasolini attraverso la loro descrizione.

Cesare, una prima impronta umana, un primo disegno trionfante e disarmato contemporaneamente, alle prime luci del mondo, si staglia nello spazio senza ulteriori necessità che essere vivo, sano e, pronto al suo ciclo vitale sotto al sole, sotto alla luce alla luna al cielo e alle stelle con i suoi piedi poderosi e carnosi che, prendono la sua misera porzione di terra che gli è stata assegnata; senza ornamenti della scienza e della legge; se non quella dell’essere “ La sua età sta cambiando, ed egli non se ne avvede, cammina tranquillo, quasi la sua bellezza non fosse che la sua ombra”.

Il prete, giovane creatura fresca e duttile nei suoi intenti di educare l’umanità di un’educazione buona e virtuosa (nell’accezione estesa del termine), sposata a dio e spodestata da dio, è un’altra identità che si ancora, galleggiando mollemente, a Pasolini, sia per l’armonia e il suo spargersi dolce ed edificante nei confronti del genere umano ”In quei giorni la scuola era in festa come diceva Don Paolo: ossia il dare e l’avere tra lui e i ragazzi era pari, in piena armonia. Si lavorava con entusiasmo e gaiezza: Don Paolo era pieno di idee e i ragazzi un poco straniti dalla primavera venivano a scuola tutti contenti sapendo che vi avrebbero trovato qualche piacevole novità. E Don Paolo, sicuro, con voce limpida e persuasiva, parlava loro come se ciò che diceva avesse il valore chiaro e indubitabile della luce primaverile”, sia per la sua sessualità, attratta dal maschio e tenuta nascosta come un bambino terrebbe nascosto alla mamma una marachella che cinge dentro al suo volto corrucciato e offeso; una povera animella grande e pura braccata dai lupi.

Pasolini è un uomo buono e immensamente intelligente e acuto, dedito a rincuorare, come una lupa scalda i suoi cuccioli, i suoi simili, attraverso l’informazione e la decifrazione e la traduzione della vita e contemporaneamente, durante questo nutrimento, che lo consuma tutto perché ‘gli scolaretti, come la parola di dio, illustrano a Don Paolo la sostanza della vita’, rinasce e si ripresenta alla vita, pulito e antico e, aderente all’intimità della vita, per ricominciare il ciclo. Dunque Pasolini è i suoi personaggi e i suoi personaggi sono Pasolini.

In “Un articolo per il progresso”, di nuovo lo slancio Pasoliniano, nel partorire tipologie umane che lo rappresentano e, che portano una porzione del suo cuore e del suo intelletto; Marco e la sua compagnia, costituiscono una parte integrante di Pasolini, nel loro essere al mondo nella sventura, nel lavoro che li prende solo in giro e gli permette di comprare quattro nazionali, nel candore e clamore della caccia, che appunto si svolge tra il gioco e la necessità “Subito sbucarono fuori dalla cabina Bepi e Toni che si gettarono sul prato, saltando il fosso, e si misero a correre dietro ai leprotti. Anche gli altri smontarono dal camion e si misero a saltare gridando tra gli sterpi”. Dunque figure, né care al tempo né care a se stesse ma, cariche di potenza, nella loro possenza o fisica o gergale; figure maledette.

Anche in Pina, altro personaggio del racconto e che ha la fortuna anche di chiuderlo “Pina uscì sulla strada dove Velino l’aspettava reggendole la bicicletta”, con la sua onesta operosità e la sua dedizione, racconta Pasolini; lo racconta anche nel suo amore per Marco e nel modo di amarlo, che, non è da lui ricambiato; Spesso Pasolini ama ma non è ricambiato; la sua capacità di amare è sfibrante e destabilizzante: è totalizzante.

Il racconto si svolge a Ligugnana, paese tra l’altro dove Pasolini passò parte della sua giovinezza; Ligugnana, il paese dei comunisti, il paese di Marco, di Velino e degli altri ragazzi “stesi con le gambe larghe sull’erbaccia o in piedi con le mani in tasca, presso la rete dell’orto ormai spoglio” e, di Pina, la ragazza del partito e delle inchieste comuniste che arriva a Lugugnana e sfiora la sua luce e i suoi intonachi screpolati.

“Operetta marina” è un organo umano sulla brace, in cui tutti tutto il sentire della sua giovinezza, consapevolizzato, si offre, si sporge fino a cadere e a frantumarsi, fino a evaporare. Una scrittura che contiene l’odore dell’epidermide, il suo calore e il suo odore; un odore simile a un odoretto stagliato sulle guance, tra le guance e l’orecchio; profondo e nascosto, selvatico e dolce, appena sensuale e che contiene i sogni e tutte le varie disattenzioni della gioventù.

La natura che lo raccoglie e che lo cinge è severa e immensa e, si lascia denudare dalla sua grazia di bambino; riesce con la sua pazienza e con il suo pensiero gentile ad ascoltarla e a scoprire la sua vera voce, di una natura grave e greve, imponente, come di popoli brutali accampati gli uni verso gli altri, aspettando la guerra. Una natura spettinata e potente, che trattiene in se un caos violento e un annuncio che non darà, quanto è abominevole, ma con cui, egli dialoga, vertiginosamente, per arrivare al mare dal Po “si presentava, quell’immagine, non appena ci fossimo avvicinati al pelo dell’acqua, a sporgerci nel vuoto, mescolando l’odore che la corrente sommuoveva dalla superfice dell’acqua, odore freddo, vegetale, con quello tutto mentale, dei grandi golfi, delle spiagge dei tropici”.

Il suo dialogo con le cose della vita è ozioso, maldestro, quasi futile; contingente; estrapolando da tutto questo una certa sporcizia. Nei suoi ‘versi’ c’è stabilità e autonomia; ogni frase vive di se; si potrebbe pescarla come in un gioco. I suoi testi hanno una vitalità, sono parabole decadenti, presuppongono la vita senza sperarla, senza adornarla di niente e con niente.

Io credo che Pasolini sia stata l’unica figura intellettuale onesta e ligia al suo intelletto e che attraverso questo, sia riuscita a essere tutto e tutti; dunque, forse l’unico uomo che ha usato la sua conoscenza per oltrepassare se stesso. In me, lui è sconfinatamente caro e persuasivo.

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