QUARANTADUE ESSERI UMANI SONO FIGLI DI UNO CHEF CHE CANTA L’INNO AMERICANO IN FRANCESE

di Luca Bottari
42 esseri umani sono figli di uno chef

“La nostra clientela non è mai in vena di confessioni con i nostri camerieri. Sono uomini solitari in cerca di prostitute per viaggi anali. Odiano chi gli ricorda che sono in errore. Voglio sperare che terrai a mente questi consigli altrimenti la tua carriera in questo ristorante avrà una vita infinitamente breve. Lo chef e gli altri camerieri ti spiegheranno dove sono posate e vettovaglie.

Se in futuro avrai qualche problema dovrai confidarti in modo esclusivo con la mia persona. L’ultima cosa che ti voglio dire è pressoché identica alla prima. Massima riservatezze con i nostri ospiti”.

“Grazie Mr Rouchet farò come dice lei.”

Il ragazzo entrò trionfante nella cucina del miglior ristorante italiano del quartiere. Un uomo di statura media con tre cicatrici sul viso gli strinse la mano con vigore. Poi arrivarono il lavapiatti, l’aiuto cuoco, e tre pupazzi vestiti da camerieri.

Steven, questo il nome di battesimo del giovane in prova, pilotò i suoi occhi verso l’uomo con le cicatrici che stava cantando l’inno americano in francese.

La scena non sembrò impressionare i tre camerieri che fecero immediatamente ritorno nella sala per l’occasione mezza vuota. Chi ammazzava le verdure era balbuziente. Quest’ultimo impiegò circa un minuto per spiegare a Steven che l’uomo che gli si parava davanti era lo chef, lo chef più umile di Pigalle, lo chef che aveva 42 figli sparsi per il mondo.

Tutta la cucina era in ordine fatta eccezione per la scatola di fiammiferi di Mr Rochet affondata fra le pentole che contenevano pesce fresco di giornata.

La scatola non conteneva fiammiferi bensì preservativi di genere vario, dagli stimolanti colorati ai ritardanti alla frutta tropicale, un aroma valida anche come condimento.

Steven ripensò qualche istante al suo passato, aveva smesso di frequentare la scuola quando aveva 14 anni. Dopo l’interruzione, imposta dal padre nullatenente, Steven adolescente era già una vittima della nostra gloriosa società.

Lavori di manovalanza mal retribuiti, droghe passatempo suggerite da amici perditempo, minuti ed ore in attesa d’un emozione.

Tutta questa follia così ordinaria prima di volare a Parigi dove aveva sognato di amare la letteratura e il masochismo, si era svegliato con il pene eretto per gettarsi nelle strade alla ricerca di un lavoro serio, sembrava aver incontrato l’uomo che gli avrebbe cambiato l’esistenza, lo chef che sapeva cantare l’inno americano in francese.

Lo chef fece segno a Steven di sedersi. Il ragazzo eseguì l’ordine senza discutere.

“Ragazzo, parlami del tuo sentimento di amore misto ad ammirazione per Mr Rouchet.“

Le parole dell’uomo rimbombarono nell’ego poco strutturato ma appuntito di Steven che tentava invano di celare le proprie tendenze omosessuali.

“Perché mi fa questa domanda? “

“Voglio verificare l’attendibilità delle mie intuizioni. Godo nel sentire quanto sono corpose e vicine al reale. Ho fregato molta gente con incantesimi del genere.”

“Se proprio ci tiene a saperlo, Mr Rouchet non è di mio gradimento ma sono una checca, giorno per giorno imparo ad essere un invertito.”

“Bene ragazzo, così va meglio. “

Mentre Steven e lo chef discutevano certi di trattare argomenti di massima importanza pontificando sul fondoschiena appuntito del lavapiatti al tavolo numero 3, un cliente di vecchia data, tanto ricco quanto sbadato, testò la consistenza dei propri apparati genitali stimolando i suddetti con i denti di una forchetta in argento a cui un paio di cene prima era stolta la verginità e le iniziali in argento.

L’uomo faceva tutto ciò preoccupato dell’avanzare, per lui troppo precoce e feroce, della vecchiaia.

Quando s’accorse dei tre camerieri pinguini imbambolati davanti alle sue oscenità, pensò bene di aumentare il ritmo della stimolazione, invece di batter la ritirata in modo semplice e repentino.

Situazioni analoghe a quella appena illustrata si ripetevano di continuo sotto lo sguardo omertoso ed avvezzo alle stranezze di Mr Rouchet, che sempre di più lodava la discrezione di Steven e sempre meno si sentiva disposto a supportare le pretese dello chef.

Il boss dei fornelli, mercenario delle cucine d’occidente, re del pettegolezzo, chiedeva in cambio delle sue incredibili formule magiche ai fornelli, ragazzi di colore sulla trentina capaci di bere sperma come fosse acqua minerale.

Onde evitare problemi con la polizia, e con l’ufficio d’igiene, Mr Rochet aveva pregato un Dio tutto suo affinché quelle pratiche scorrette ai confini della realtà e della morale comune non venissero mai a contatto con la superficie e con la gente di Parigi che suda per il pane e per un tetto sopra la testa.

Un giorno, il lavapiatti, fino ad allora piuttosto grezzo e privo di grandi capacità intellettive, sbalordì tutto l’equipaggio della cucina con le dichiarazioni che seguono:

“Steven, in questo ristorante hai trovato una moglie e una amante, prima hai sposato Mr Rouchet e con lui ogni paragrafo del suo maledetto codice sulla privacy per clienti e lavoranti. In seguito, seppure con diversa intensità e perseveranza, hai flirtato con il nostro chef che ormai può esser considerato come la tua amante. La prima ti ha indicato la strada che porta al compromesso, alla rispettabilità, la seconda ti ha fatto partecipe delle infinite possibilità d’evasione che spettano agli uomini audaci.”

Cristiano di un lavapiatti, chissà quante notti da sonnambulo impazzito, chissà quanti lamenti da cane bastonato prima di vomitare metafore così altisonanti e pretenziose.

Con quella esternazione scioccante il ragazzo, spesso vessato per il suo culetto a mandolino, non intendeva manifestar dissenso e nemmeno per un momento pensò di avere la stessa carne e gli stessi pensieri di quel giustiziere che in quei giorni in città stava intensificando la sua opera di pulizia etnica e delle anime perse.

Il lavapiatti, sempre alle prese con il sudiciume alimentare e gli odori nauseabondi che fuoriuscivano dalle estremità delle braccia a fine giornata dei camerieri, aveva assistito inerme all’esplosione di sentimenti carichi di una potenza primitiva e nel suo piccolo cuore perdeva ogni facoltà di controllo sulle sue emozioni, finendo così per mutare l’intera gamma di convinzioni circa quel mondo ora schiavo delle regole di quel sottobosco di uomini mostro travestiti da una squadra di cucina dal grande spirito corporativo.

Dopo aver ascoltato l’insieme di parole uscire dalla bocca del lavapiatti, Steven andò davanti ad uno specchio esagonale per chiedere alla sua coscienza il perché dei rapporti che intratteneva con queste nuove figure mefistofeliche uscite dai fumi di una specie di spezzatino afrodisiaco.

“La mia amante mi ha raccontato tutto del suo passato. Ha avuto 42 figli. Tutto ciò non basta? Ha dato il suo seme a donne desiderose d’affetto che volevano esser madri senza dover sostenere il peso di un marito in casa. Sono state forse infelici? Al contrario si alzano la mattina e c è sempre un fiore che sboccia, c’è sempre il loro figlio adorato pronto a baciarle ed a tacere. Non ho mai creduto alle coppie che non sballano e tantomeno agli psicoanalisti americani che giurano fedeltà eterna ai rapporti a forma di triangolo. La mia amante non ha chiesto niente in cambio, niente denaro né carezze e nemmeno notti romantiche. Credo dunque che meriti qualche cosa in più rispetto agli altri comuni mortali. Giuro sulla mia testa che la mia amante è in grado di cantare l’inno americano in francese.“

Steven ritornò in cucina ed insieme alla sua amante, per la quinta volta, si sfamarono con carne umana, carne di un giovane maghrebino colpevole d’esser troppo disponibile e d’aver la pelle d’ebano. Lo chef baciò Steven con fare sicuro sempre più convinto d’esser per lui una grande divinità pagana. Gli venne naturale pensare che avendo contribuito alla nascita di 42 essere umani, avrebbe tranquillamente potuto togliere la vita a qualcuno. Non sarebbe stato cannibalismo ma una sorta di risarcimento tardivo per le sue prestazioni da padre per una notte.

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