RAFFAELLO 

Roma, Scuderie del Quirinale

di Francesca Sallusti

Nell’Autoritratto con un amico, la pittura pare annegata; un bel relitto intonso-prodigiosamente; come portatore di un linguaggio eterno, di un annuncio impertinente; il gelo del mare che si dipana sulla superficie vitrea, perpetua sempre oltre, il suo annuncio e, il personaggio in primo piano ci porge il profilo preoccupatamente; ma il clamore soffocato riempie il suo viso.

L’armonia deliziosamente e delicatamente matematica di Raffaello che, molto bene dà prova di sé nella “Consegna delle chiavi”, è qui anche gioiosa nella posa spensierata e vitale di tutta l’organizzazione compositiva e che, ben si palesa nella collocazione intraprendente dei personaggi.

Di pregevole maestria e perizia, nella “Visitazione”, il collo di sant’Elisabetta in contrasto con la beatitudine del paesaggio, dall’incarnato di un infante al risveglio; la veste è quasi concepita rigidamente per incoronare la vecchiezza o contenere una saggezza e, la luce che si appoggia sulle vesti, prende asilo con prudenza su ampie zone. La mano della vergine si corica come un piccolo animaletto sul suo ventre.

Nella “Fornarina”, una geometria rilasciata nella figura stagliata ‘blandamente’; nel seno sinistro un’armonia decomposta esprime un sobrio realismo. Nella “Madonna d’Alba”, il bambinello pare nutrire il pensiero della madre con la sua certezza e guidarla, attraverso la sua danza; la madre ricalca il movimento del corpo del figlio; come una danza estatica, marina e, così anche le montagne in lontananza e, San Giovannino, una belvetta di ruggine, come una nota distonante all’interno di quella musicalità, ne blocca il compimento.

I tentativi paesaggistici di Raffaello paiono manifestarsi nei tratti del viso della “Madonna del Granduca”, nella levità della fronte come un orto e, nella soavità delle gote come colline e nelle palpebre, due lune appena sorte prendono il posto della luce in un cielo basso; tutto il tepore dell’universo disteso su questo viso. Nel corpo e nelle vesti una compostezza sfiancata dall’amore e dall’ineffabile. Di raffinato impatto estetico il gioco di equilibrio tra il bambino, che come un frutto maturo pende tra le braccia della madonna, e il panneggio di quest’ultima.

Nella “Madonna dell’Impannata”, la dinamica degli sguardi (con la madonna che porge i suoi occhi su sant’Elisabetta a cercare ristoro, sant’Elisabetta che tiene con la veduta e un braccio il bambino e il bambino e S. Caterina che con la loro guardata ricordano un giaciglio d’amore dopo una lunga corsa) genera la prospettiva del dipinto con la sua solidarietà e il suo impasto; con la sua fluidità reca movimento e saldezza. La figura del S. Giovannino, in armonia con la finestra, appunto dell’Impannata, sposta la centralità del dipinto, donando così una sensazione di arditezza compositiva e di modernità, se non di speculazione visiva. Il S. Giovannino, rivestito di bronzo solare depone, con i suoi occhi fissi allo spettatore, la centralità, tutta raffaellesca, al dipinto.

Nella la “Dama con Liocorno”, un brano di spietata intimità nell’incastro delle mani tra le zampe dell’animale e di incantevole pregio la tensione emotiva del liocorno e della dama fuori dal dipinto, come una disattenzione elegante e atemporale; la figura e la collocazione del liocorno rispetto al corpo della donna, sembrano guidare tutta questa congettura.

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